Arriva dagli Stati Uniti un libro di memorie su Augusta. E un invito a riscoprire le radici
AUGUSTA – Riceviamo da Giuseppe Carrabino, presidente della neo costituita “Società augustana di storia patria”, che per La Gazzetta Augustana.it ha già curato un’iniziativa editoriale sulle tradizioni locali, la recensione di un libro particolare, che ospitiamo volentieri. Il titolo è “Il mio amico Olegna” e la particolarità risiede nel fatto che l’autore, Gino Lobefaro, vincitore del premio “Idaho writers league 2016”, vive da tempo negli Stati Uniti ma ha deciso, in un impeto di nostalgia e amore, di dedicare questa fatica letteraria, in lingua italiana, alla sua città di origine. Il libro è disponibile nelle edicole locali.
Conoscevo i genitori, la mamma siciliana e il papà, nato in U.S.A. ma di origini pugliesi, la sorella e la sua famiglia, i nipoti, il carissimo Lino e la sua giovane moglie. Del papà ricordo la fiera appartenenza alla Confraternita dei mastri di S. Giuseppe che lo vide per qualche tempo più che Governatore, guida attenta e prudente. Sapevo che uno dei figli, Gino, si trovava in America, ma non avevo mai avuto modo di conoscerlo.
Un bel giorno fui fermato nella centralissima via Giovanni Lavaggi. “Posso parlarle?” – certamente, gli dissi. Sono Gino Lobefaro! Fu così che scambiammo qualche battuta ed io ebbi modo di rammentargli la conoscenza dei suoi familiari e del caro amico Lino in particolare che negli anni recenti è stato collega di lavoro. Gino mi disse in quella circostanza che stava lavorando ad un libro che avrebbe voluto dare alle stampe. Un libro di memorie, di ricordi, di Augusta e della sua esperienza oltreoceano. Un libro – mi disse – un po’ particolare.
Dopo qualche tempo ci siamo dati appuntamento al bar e in quella circostanza mi raccontò della sua esperienza, gli studi, il Liceo scientifico, il lavoro, il calcio, il teatro, gli eventi della vita lo portano da Los Angeles ad Atlanta, da Jacksonville (FL) a Dallas e a Sandpoint in Idaho. Con un certo timore, Gino introdusse il motivo della nostra conversazione. Avrebbe voluto rendermi partecipe del suo libro. Gli dissi che mi avrebbe fatto piacere leggerlo.
Poco prima di Natale, Gino mi ha fatto dono del suo libro dal titolo “Il mio amico Olegna”, corredato dei disegni dell’amico di gioventù Ture Lisitano. “Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi e soprattutto se ritieni utile una presentazione”. Lo ringraziai, ma soprattutto ciò che ancora una volta apprezzavo da Gino era il suo modo cordialissimo di accostarsi all’interlocutore, quasi con prudenziale riverenza e squisita cortesia.
Devo ammettere che, dopo una breve scorsa, non mi sono soffermato a leggere le circa trecento pagine che compongono il libro: proprio in quei giorni la presentazione di un volume di una cara amica mi aveva tenuto occupato in quelle poche ore del tempo libero. Durante il periodo delle festività ho ripreso in mano “Il mio amico Olegna”. Non nascondo che avevo iniziato a leggerlo con un po’ di scetticismo, pensando che non avrei trovato nulla di nuovo di quanto già era stato detto su Augusta.
Dalla dedica ai genitori “a mammuzza Rosa, papà Ottavio, Sammy Giò, il fratello Mishel, nanna Rosa… che mi aspettano con amore al cancello del paradiso” ho percepito che quel libro voleva essere quasi un riallacciare i fili della memoria, ed in effetti tutto ha inizio con un incontro al bar. Un volume autobiografico dove rivivono luoghi, esperienze, ricordi dei momenti spensierati della gioventù, la vita in famiglia nel cuore della città.
L’incontro al bar con un vecchio amico che l’aiuterà a comprendere, a ricordare, a tessere la rete della memoria. Questo libro – come lui stesso afferma – è stato scritto più col cuore che con la penna. Gino storia narra la storia di un uomo che ritorna al paese natio, dopo aver trascorso gran parte della sua vita in America, con discreto successo, apparentemente solo e sfiduciato, ritrova se stesso, la fede in Dio e la fiducia nell’Amore, grazie a un amabile e misterioso vecchietto locale.
Sarà proprio attraverso la conversazione con il suo vecchio interlocutore a far rivivere una storia affascinante tra realtà e fantasia, tra l’inverosimile e quello che all’apparenza può sembrare vero. La linea che le divide rimane sempre sottile, impercettibile, invisibile e forse inesistente.
Rivivono innanzitutto i luoghi: il mare, la campagna, il Granatello, Punta Izzo, i ponti spagnoli, il Castello, la villa nica con il busto o monumento di Umberto I e lo chalet Arlecchino, la villa ranni con la suggestiva veduta del porto Xifonio, i ronchi, le vanedde, i monumenti, la chiesa Madre, il cine teatro Kursaal. Rivivono le esperienze giovanili, i giochi popolari, le ragazze.
Non nascondo che mi ha fatto piacere leggere i ricordi di un luogo a me tanto caro: Villa Carrabino, dove dai primi anni cinquanta fino ai primissimi anni settanta, Augusta e dintorni si ritrovava per le serate danzanti estive. Il protagonista della storia ricorda quei tre giovani musicisti che non poterono esibirsi una sera d’estate a Villa Carrabino perché coinvolti in un incidente stradale: il loro pulmino precipitò in una curva e prese fuoco proprio in prossimità dell’Ospedale. Uscirono incolumi da quell’incidente.
Quell’uomo rientrato dall’America ricorda tutto con nostalgia, la bellezza di ogni pietra della sua città e, da uomo di fede, si chiede come mai gli augustani non si accorgono di questa “nostra stupenda isola, un meraviglioso dono di Dio da amare e rispettare. Sarebbe bene che i cittadini si mettessero d’accordo in un interesse comune, per rispolverare e rivalutare i magnifici doni e le risorse che il Creatore ha donato a questa città; doni come il mare, il porto, la scogliera, la campagna, i monumenti, le chiese. Purtroppo sembra che tutti la ignorino”.
Quell’uomo ricorda che un tempo viveva con la sua famiglia nel centro storico, poi si trasferirono con i genitori in borgata nel complesso del villaggio Rasiom.
Il filo conduttore dei ricordi è l’Uomo della Croce, questa icona che l’accompagna per tutta la sua esistenza. Lo ricorda da bambino quando nel vederlo inchiodato avrebbe voluto aiutarlo a scendere dalla croce e ricorda in particolare quella volta, quando il papà Ottavio da confrate di S. Giuseppe, portò l’urna con il corpo del Cristo morto in processione per le vie della città. In un momento di pausa ebbe modo di vedere da vicino il volto dell’Uomo della Croce. Un giorno, da adulto, ebbe modo di dialogare a lungo con l’Uomo della Croce, di confidargli le sue angosce, le sue preoccupazioni: “A me basta solamente che mi ascolti, che posso raccontarti i miei guai. Sono qui ai tuoi piedi per offrirti le mie paure”. In questo dialogo ho trovato qualcosa di sublime, di autentica fede, di quel rapporto intimo e personale che è più forte di qualsiasi preghiera biascicata.
Ecco quindi che “Il mio amico Olegna”, è nel contempo un libro di memorie ma anche un motivo di riflessione sulla bellezza del dono della vita, un messaggio importante per chi arranca con difficoltà in tempi di incertezza politica, economica, sociale e spirituale. Ritengo che valga la pena ritagliarsi un po’ di tempo e godere di queste riflessioni, a spasso nella storia del secolo appena concluso, tra fantasia e realtà. Forse ciascuno di noi potrà rivedersi e forse, come l’autore, alimentare quella fiammella della fede che gli ha permesso di ritrovare la forza di riprendere il cammino, pur nelle difficoltà della vita.
Giuseppe Carrabino