Augusta attraverso gli occhi del regista del prossimo film “Zero,2”
Zero,2 per me è nato una notte d’agosto del 2015, quando Claudia La Ferla, sceneggiatrice del corto e mia grande amica, mi portò ad Augusta per mostrarmi le bellezze della sua terra dimenticata. Passo dopo passo, location dopo location, Claudia mi ha raccontato la storia che voleva scrivere: la storia di Minì e di Giacinto; la storia di una donna che deve riscoprire l’amore per la sua terra prima di lasciarla per sempre.
Passeggiando lungo la piazza del Milite Ignoto mi ha raccontato della messa in memoria dei morti di cancro che Padre Palmiro Prisutto celebra ogni mese. Davanti al panorama del Castello Svevo a picco sul mare, mi ha spiegato il disastro ambientale provocato dal polo petrolchimico proprio in quel bellissimo pezzo di mare. Mi ha raccontato del cinema all’aperto così com’era nei ricordi di suo padre, con il grande schermo bianco di fronte al mare e i film che potevano essere visti anche dalle barchette coccolate dalle onde. Mi ha raccontato dei posti indimenticabili della sua infanzia, come l’Hangar dal cui tetto si poteva godere il panorama dell’intera città. Mi ha fatto vedere i forti Garcia e Vittoria, che come due fiere isole svettano radicati tra il blu del loro mare. Passeggiando una intera notte per Augusta, Claudia mi ha fatto innamorare della sua storia e della sua città. Nella mia mente l’ho vista prendere vita e, magicamente, dipanarsi inquadratura dopo inquadratura, nei dettagli dei colori, delle espressioni, nella potenza delle parole dei personaggi. Ho visto un film bellissimo che sarei stato pronto a dirigere quella stessa notte se avessi avuto i mezzi.
Claudia è la forza motrice di questo progetto, tutto nasce dalla sua voglia di raccontare la sua esperienza, che poi è quella di tutti gli augustani. È la storia di quanti hanno vissuto la morte dentro la propria casa, una morte esposta e sotto gli occhi di tutti in quella che era una delle coste più belle della Sicilia. È la storia della morte pescata ogni giorno in mare e vissuta ogni giorno sulla propria pelle. Questa potente forza viene, però, contrapposta, nella sua storia (come nella vita reale) ad un’altra grande forza: la vita e la speranza. Tutto questo in Zero,2 si incontra e si scontra anche nell’anima dei protagonisti stessi che diventano simbolo dell’eterna lotta tra bene e male e tra eros e thanatos. Infatti, Minì, ormai in fin di vita a causa di un cancro incurabile, non vede più alcuna bellezza intorno a sé covando un sentimento di odio per la sua città, colpevole, secondo lei, di averla fatta ammalare. Il Dott. Giacinto, di contro, farà di tutto per farle riscoprire l’amore per quella terra. La bellezza di quei luoghi, infatti, apparentemente nascosta, è ancora ben visibile agli occhi di tutti resistendo alla mano criminale dell’uomo.
Tutto questo è quello che mi ha colpito in questa storia. Soprattutto la speranza che si possa ancora essere in grado di vedere la bellezza delle cose, anche dopo aver vissuto e toccato con mano la sua esatta antitesi. Ammetto di provare un brivido quando penso di poterla raccontare e renderle in qualche modo giustizia attraverso il reticolo di immagini che scorre continuamente nella mia mente.
Trovare un titolo giusto per questa storia ha richiesto tanto tempo. Un giorno riflettendo sul fatto che i semi dell’albero di carrubo, che riveste un ruolo quasi sacro all’interno del corto, in Sicilia vengono chiamati carati, abbiamo deciso di dare il massimo rilievo a questo concetto. Il carato è il simbolo delle cose preziose e pesa sempre 0,2 grammi, come il seme dell’albero di carruba. Le domande che ci siamo posti per dare forza a questo concetto sono state: “Cosa c’è di più prezioso della vita stessa? Di chi combatte la morte, l’inquinamento, l’ignoranza?”. Così la scelta di questo titolo, come simbolo del valore della cosa più preziosa che va assolutamente tutelata e rispettata. Vorrei, però, aggiungere che 0,2 grammi per me è anche il peso del Dott. Giacinto Franco, a cui il corto è ispirato e dedicato, che ha lottato tutta la vita per tutelare la sua terra e la salute di chi la abita. È anche il peso di chi ogni giorno ad Augusta, come nell’area conosciuta come “triangolo della morte”, lotta contro il cancro. È il peso di quei bambini che nascono malformati o menomati, di quelli che non riescono a nascere affatto, dei bambini abortiti per colpa dell’inquinamento dell’aria, del mare e della terra.
Mi piace sottolineare anche una bellissima sintonia che si è create con la storia di Zero,2: mio nonno, un agricoltore, mi diceva sempre che nelle giornate afose d’estate, quando avevo bisogno di una rinfrescata, la cosa migliore da fare era sedersi sotto un carrubo, perché la sua ombra è più fresca di quella di qualsiasi altro albero. Ho sempre visto il carrubo come un’entità quasi mitologica. È sembrato, quindi, un legame scritto da tempo quello che mi ha condotto a questa storia e alla profonda filosofia di Zero,2 secondo la quale “se l’albero di carrubo crescesse in mare sarebbe Dio”, volendo veicolare una visione magica di vita capace di rinascere dalla morte.
Io vedo questo corto come un viaggio dantesco attraverso le parti più belle della città, ma anche attraverso il passato di Augusta e i ricordi degli augustani. Tutto questo l’ho vissuto tramite lo sguardo di Claudia, che in fondo è lo sguardo di Minì. Lavorare con Claudia a questa sceneggiatura è stata un’esperienza quasi catartica, come se anche io, espatriato da anni, avessi bisogno di ritrovare la bellezza della mia terra e riassaporarne la magia.
In questo senso credo che la scena più importante del film, per lo meno per quel che mi riguarda, sia quella che si svolge al palco della musica, dove una Minì delirante si trova a camminare nel cuore della notte, senza neanche saperne perché. Qui, improvvisamente, irrompe una musica lontana, Minì sale sul palco e una mano le si offre per accompagnarla in una danza. Lentamente il mondo intorno si trasforma. Il palco riprende vita. Le luci si accendono una dopo l’altra. Con lei e il suo misterioso amante, adesso un’intera orchestra suona sul palco, mentre tutta la piazza intorno è animata da giovani coppie, ragazzi, anziani e famiglie che fanno assaporare la magia di un nostalgico passato. Così, con lo stesso ritmo di quella danza, siamo trasportati nel cuore di un ricordo di Minì, improvvisamente ventenne, immersa nella bella Augusta di un tempo. Tutto questo verrà raccontato attraverso un unico pianosequenza senza tagli di montaggio, proprio perché credo che sia l’unico modo per creare la magia della scena riuscendo addirittura a viverla. Lo spettatore, infatti, può in questo modo identificarsi con la protagonista provando la sua stessa emozione e la sua stessa catarsi.
Grazie a questa storia ho ritrovato l’amore per la mia terra, la forza di lottare e andare avanti, che poi è l’insegnamento più grande del Dott. Giacinto Franco e la sua più preziosa eredità.
Giulio Poidomani