Augusta, cosa succede a Punta Castelluzzo?
AUGUSTA – Fotografie aeree, secondo nostre fonti risalenti a ieri, hanno reso noti gli effetti di recenti lavori nell’area di Punta Castelluzzo (anche detta Punta Castelluccio), che si trova tra le località Baia Arcile e Costa Saracena, nella zona più a nord del territorio di Augusta. Apprendiamo che su quel promontorio è stata autorizzata un’attività di bonifica da rifiuti, ma che non prevedrebbe quindi attività di movimentazione terra.
Giacché non risulta essere area demaniale, restiamo in attesa di ricevere comunicazioni ufficiali dalle istituzioni preposte, opportunamente contattate dalla nostra Redazione. Riceviamo e pubblichiamo intanto qui di seguito un contributo qualificato, sugli scatti che stanno facendo il giro dei social, redatto da Carlo Veca, archeologo augustano e autore del blog culturale “Il Corbaccio” su La Gazzetta Augustana.it. [Leggi articolo di aggiornamento: Augusta, lavori a Punta Castelluzzo, la Capitaneria di porto sequestra e denuncia]
Cosa sta succedendo a Punta Castelluzzo? Si evince da numerose foto pubblicate sui social (credits) che sono in corso dei lavori, che sembrerebbero di spianamento, o comunque di movimentazione terra e scavo, sul promontorio.
Altro aspetto allarmante è che si intravedono, sempre dalle foto sopra citate, numerosi passanti atti nel “rovistare” tra le macerie provocate dalle ruspe, più altre foto dove chiaramente si intravedono reperti ceramici (antichi?) e forse tagli nella roccia (latomia di superficie?).
Sarebbe opportuno venire a conoscenza delle dinamiche dei lavori che attualmente si stanno svolgendo a Punta Castelluzzo, così da mettere in pratica inevitabili esigenze di tutela. Esigenze per un luogo che tra l’altro risulta essere “area di interesse archeologico” (art. 42/lett. c,m, D.lgs. 42/04).
A seguire, si presenta una breve scheda riepilogativa dei principali rinvenimenti archeologici a Punta Castelluzzo (con bibliografia essenziale per chi volesse approfondire), per aiutare i lettori a comprendere l’importanza archeologica e culturale del luogo, spesso lasciato all’incuria.
Punta Castelluzzo, situato nel comune di Augusta, è un promontorio caratterizzato da una zona pianeggiante sulla sommità e da balze rocciose costituite da calcareniti del Pleistocene inferiore sopra deposizioni di vulcaniti, e costeggiato a Nord dal torrente San Calogero, oggi notevolmente ridimensionato rispetto al passato, che si versa su una piccola sassosa spiaggia tra Brucoli e Agnone.
Il luogo, per la sua posizione strategica e per la funzione di sorveglianza della foce del fiume, ben si presta per dare vita ad un insediamento. All’estremità e sul banco calcareo alla base del versante orientale, infatti, sono stati individuati i fori per i pali di capanne che costituivano un piccolo insediamento Neolitico.
L’origine del toponimo, presente nelle rappresentazioni cartografiche cinquecentesche di Tiburzio Spannocchi, si ricollega alla presenza di un castello che fungeva da sentinella per proteggere la costa dalle incursioni marine. Infatti, in prossimità della spiaggetta, il torrente San Calogero assume il nome di Castelluzzo. Sul fianco orientale dello sperone, è stato individuato un riparo sotto roccia il cui riempimento terroso ha restituito frammenti ceramici attribuiti all’età del Bronzo Finale (X-IX sec. a.C.). Sul pendio esistono altri grottoni naturali che poterono servire da riparo e non è da escludere che esistesse un piccolo villaggio capannicolo sul pianoro in cima al promontorio.
Secondo Luigi Bernabò Brea, Punta Castelluzzo costituì in un primo tempo il naturale scalo marittimo della preistorica Xouthia (divenuta poi la greca Leontinoi), come confermerebbe la corrispondenza dei materiali ceramici rinvenuti con quelli delle capanne di Meta Piccola di Lentini e la vicinanza geografica con il sito. Resta da chiarire se la frequentazione costiera fosse a uso esclusivo di Xouthia, oppure se coinvolgesse più villaggi.
L’indagine archeologica ha rilevato anche la presenza di una necropoli protostorica con tombe a grotticella artificiale dell’X-IX sec. a.C. lungo l’ultimo tratto del corso del torrente.
Per il momento la documentazione sulle fasi protostoriche ha raccolto materiali che non vanno oltre il Bronzo Finale. Ma non è da escludere che l’insediamento indigeno esistesse ancora quando i greci approdarono su queste coste nell’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C.
Sui momenti storici successivi è stato segnalato il rinvenimento di ceramica greca arcaica, classica ed ellenistica recuperata durante i lavori di sbancamento degli anni ‘60. Secondo l’opinione dell’archeologa Rosa Lanteri, la ceramica arcaica va messa in relazione con la città di Leontinoi e ciò induce a ipotizzare che Punta Castelluzzo potrebbe essere entrato nella sfera di influenza della colonia calcidese il cui confine territoriale si estendeva fino al fiume Porcaria, sulla base dell’interpretazione degli studiosi Vallet e Voza. Il motivo dovrebbe collegarsi ad una necessità “naturale” per una città greca sorta lontano dal mare che la indusse probabilmente a sfruttare il corso del Therias, identificato con l’odierno San Leonardo, per dotarsi di uno scalo marittimo e forse a riprendere la frequentazione della foce del San Calogero per rinforzare il controllo della costa. Altri fattori potrebbero essere connessi alla coltivazione delle latomie, costiere di difficile collocazione cronologica.
Un’altra ipotesi, avanzata da Luigi Bernabò Brea, vuole l’identificazione a Punta Castelluccio del Trotilon, l’insediamento occupato per un breve tempo dai Megaresi che al contrario da altri studiosi viene collocato a Brucoli presso il pianoro della Gisira, oppure alla foce del corso del Porcaria che si pensa sia il Pantakyas, menzionato da Tucidide. Ancora oggi il dibattito sulla localizzazione del sito non può considerarsi concluso.
La continuità di occupazione del promontorio è testimoniata anche in età romana imperiale e tardo imperiale, sempre indicato da dispersione di frammenti ceramici e da frustuli di muri in opera cementizia individuati al di sotto di vecchie masserie. Sul fondale prospiciente lo sperone roccioso, in corrispondenza della foce del torrente San Calogero, naturale riparo per le imbarcazioni, sono stati recuperati un rocchio di colonna di età ellenistico-romana, anfore e ceppi di ancora in piombo di età tardoantica e bizantina, che testimonierebbero la presenza di diversi relitti e il probabile utilizzo della baia quale zona di approdo.
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