“Augusta degna di essere venerata, ma mai dai suoi abitanti”. La quotidianità nell’Isola attraverso gli occhi di un giovane studente
AUGUSTA – Riceviamo un elaborato selezionato dal Liceo “Megara” e che in via eccezionale pubblichiamo, in quanto offre una visione utile a comprendere l’approccio delle nuove generazioni all’Isola, al cuore antico della Città. Si tratta di uno scritto del giovanissimo Gabriele Di Grande, frequentante la 2ªA del Liceo scientifico, che prova a rendere uno spaccato del quotidiano percepito, da adolescente, tra ordinaria inciviltà sulle strade e rodate lamentele nelle piazze, in un contesto di incuria che oltraggia le meraviglie ricevute in eredità.
Passeggi per il lungomare, quello del Paradiso. Devi scegliere bene la giornata, perché a dicembre fa troppo freddo, ad agosto troppo caldo e gli altri mesi si disperano per seguire ora l’uno, ora l’altro. Marzo ci porta la giornata ideale, con le nuvole e il sole che si rincorrono e il vento che sussurra al mare. Il gigante blu, per cortesia, ricambia usando la sua voce e il suo profumo, lambendo lievemente la spiaggia che lo tocca, portando come ricordo gli strani oggetti che incontra con sé. Sulla strada, proprio lì accanto, i veicoli ondeggiano sull’asfalto consumato, evitando quante più buche possibili, stringendo i denti quando non ci riescono. Il sole va a dormire più tardi del solito e mentre si poggia sull’orizzonte, arriva la Sera.
In via Principe, proprio alla fine, superato il numero trecento, un lampione a volte si accende e a volte si spegne. Sembra si spenga sempre quando passi tu o forse non ti accorgi mai quando è acceso. Non che ci sia molta gente che cammini qui: tutti corrono, senza casco, con la macchina, con il casco e anche a piedi, come se la città fosse troppo grande per poter procedere a passo d’uomo o troppo piccola per una vita così veloce. Un Suv è rimasto bloccato, non riesce a passare tra due Panda bianche e una Vespa 50 parcheggiata alla bene e meglio. Il suo padrone è lì vicino, in un bar che prende il caffè e scherza con gli altri clienti. Qualcuno entra e avvisa del Suv, il guidatore sbuffa e si appresta a rimuovere il proprio mezzo, liberando due vite da quel singolo e odiato attimo di stasi.
In piazza Duomo due vecchi si lamentano. A loro non piace tutto quel rumore e tutto quel silenzio, quei giovani che non ci sono mai o combinano solo guai. A loro, dicono, non piace come è diventata la città, ma gli uomini lì accanto, nel Comune, hanno mai cambiato qualcosa in settant’anni? Il compare più anziano sospira, il suo amico scuote la testa. Poi si dirigono a guardare la processione. Il compare più giovane, che si fregiava dei colori rossi in gioventù, si guarda intorno fingendosi disinvolto. Il più anziano si fa il segno della croce tre volte, e tre volte chiede perdono dei propri peccati. La processione entra in Chiesa Madre e la folla, che sia rossa o bianca, la segue.
Per andare sulla terraferma devi scegliere se passare dalla Porta Spagnola o dal Ponte Nuovo. Comunque vada, dovunque tu vada, passerai davanti alla Villa. Il verde non è il colore dominante in città. Ti troverai sempre con dell’azzurro e del blu davanti e il grigio dell’asfalto, il nero della pietra lavica, il giallo delle chiese e il bianco delle piazze spesso si rifletteranno nei tuoi occhi. Ma nella Villa nient’altro è ammesso, fuorché il verde degli alberi martoriati, con le radici doloranti ma orgogliose, che hanno piegato negli anni, il grigio che le voleva intrappolare. Ed è tutta qui Augusta, degna di essere venerata, tra l’asfalto piegato e le rovine del Kursaal, tra la statua di un soldato che non ha nome e quattro giostre abbandonate dove un uomo, che cercava una vita migliore e ha trovato un materasso bucato, dorme. Alla Villa due vecchi parlottano e si lamentano su una panchina arrugginita, due ragazzi si scambiano doni d’amore e non pensano a nient’altro che al momento che stanno vivendo. Sotto la luce dei lampioni forse qualcuno porterà una coperta all’uomo dormiente, qualcuno organizzerà il suo sgombero e un altro giorno si chiuderà su Augusta, degna di essere venerata, ma mai dai suoi abitanti.
Gabriele Di Grande