Augusta, due racconti di Bonnici aprono il decimo volume della collana editoriale “Vele”
AUGUSTA – C’è un filo rosso che unisce i due racconti dell’augustano Giovanni Bonnici, in apertura di “Vele” il decimo volume, fresco di stampa, della collana di favole e racconti dell’editore romano Dantebus. Il primo racconto ha come titolo “Due sillabe”, con riferimento alla parola “mamma” (composta, appunto, di due sillabe) ed è più breve rispetto al secondo, intitolato ”Il posto della felicità”.
L’io narrante del primo è quello di una donna che sta per diventare madre e, nel momento del travaglio, rivive le proprie esperienze di figlia con tante madri, tante quante l’hanno accolta e allevata dopo essere stata rifiutata dalla madre biologica. Se si volesse trasferire il racconto sullo schermo, si potrebbe partire proprio dall’incipit, dove un’elegante voluta di fumo – che rinvia a “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo – rappresenta lo stimolo di un flashback per far emergere i ricordi di un’esistenza senza radici vere, profonde. Il suo forte desiderio era quello di avere un punto preciso di riferimento: una sola madre, non tante madri, che significano tante case, dall’orfanotrofio alla casa di mamma Laura o Donatella o Lucia o Federica, e significano sballottolamenti di qua e di là. La mancanza di una radice solida è così intensa che vuole essere ella stessa l’origine di una nuova vita. Non ha avuto una radice, vuole esserlo lei, profondamente, per il figlio. Vuole essere, infatti: “Un punto fermo, una bandiera conficcata nella terra, una stele di pietra pesante abbastanza da non poter essere spostata: questo sarò io per questo figlio”. Con una presenza viva e vitale di figlio generato anche senza amore vuole colmare un perdurante senso di vuoto. Il fumare può aiutare a sentire meno l’orrore del vuoto? L’ “ultima sigaretta” (anche qui un tocco di sveviana memoria) deve servire per riacquistare forza e fiducia. “Adesso che si è consumata quest’ultima sigaretta, chiudo gli occhi nella speranza di immergermi ancora una volta, negli odori che solo al buio sanno aprire le porte della mia memoria. E il suo andare avrà la forza necessaria per me e per lui”. L’epilogo è rivelatore: “Benvenuto, amore di mamma”.
L’introspezione psicologica e il ricorso alla memoria e, quindi, al flashback, caratterizzano pure il secondo racconto, il cui io narrante è quello di un figlio con una radice in meno – il padre è morto prima ch’egli nascesse – ma con lo stesso proponimento di rappresentare un “punto fermo” per i figli, soprattutto quanto a coscienza morale, a quel senso dell’etica che ti fa sentire al posto giusto, un posto che può farti provare un brivido di felicità. Il protagonista è un ex partigiano che rivive la tragica esperienza della guerra, dell’uccisione di altri esseri umani in nome dell’odio, che si tormenta per quel passato consumato a sparare e a uccidere: “…in tanti anni di guerra e tante morti cui ho assistito dovrei essere un vincitore assoluto. Invece sono il perdente di sempre e mi brucia, mi fa orrore guardare la morte di un uomo, assistere a qualcosa che finisce”. Se il primo racconto si conclude con un chiaro accenno a una speranza incarnata nel figlio che emette il primo vagito, il secondo si chiude con un anelito di infinito, rappresentato dall’amato mare.
Un mare certamente amato dall’autore, Giovanni Bonnici, nato, nel 1969, ad Augusta dove vive e lavora come tecnico informatico e consulente tecnico ambientale e dove negli ultimi anni ha anche percorso la via dell’impegno politico. Bonnici ha di recente intrapreso quest’altra via: quella dell’impegno letterario. L’inizio è incoraggiante, lo stile levigato, le riflessioni stimolanti, la lettura godibilissima. Ad maiora!
Giorgio Càsole