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“Fuori Roma”, il contributo di chi ha lasciato Augusta. L’archeologo Carlo Veca: “Scegliamo cosa vogliamo essere”

AUGUSTA – Continua a far discutere la puntata dedicata ad Augusta del programma “FuoriRoma“, di Concita De Gregorio, in onda su Raitre la scorsa domenica sera. Sono emersi dal dibattito, sui social in particolare, due fronti di polemica: uno sulla radicalizzazione dell’immagine negativa della città, evidenziando criticità e privazioni oggettive più e meno recenti, ma dimenticando i tentativi di rilancio di associazionismo e imprenditoria; l’altro su certi commenti espressi dagli artisti noti intervistati, alcuni ritenuti da tempo lontani dalla comunità augustana.

Abbiamo chiesto un’opinione ad alcuni dei blogger de La Gazzetta Augustana.it, che vivono lontano dalla città per esigenze di formazione o lavoro, pur facendovi periodicamente ritorno. Il contributo che proponiamo qui di seguito è dell’augustano Carlo Veca, che per noi cura il blog su beni culturali e arte “Il Corbaccio” (vedi blog), trentatreenne, augustano di adozione e archeologo “itinerante” per lavoro, attualmente a Roma per un master in Architettura per l’archeologia. È l’autore del libro “Archeologia funeraria. Architettura, riti e liturgie nella Sicilia sudorientale del Bronzo Medio (1450-1250 a.C.)”, accattivante disamina sullo stato dell’arte della ricerca preistorica nella Sicilia sud-orientale.

“Benvenuti ad Augusta. Città della mediocrità. Laddove luoghi comuni, “sbuffi” e piagnistei fanno da padrone”. Questo è il ritratto che emerge dalla visione dell’ultima puntata di “FuoriRoma”, il famoso programma in onda la domenica su Raitre.

Qui, non si vuole smuovere alcuna critica, né nascondersi in dietrologie comode. La puntata di “FuoriRoma” ha permesso, attraverso una fotografia notevole, di godere di immagini fantastiche sulla città di Augusta; quindi, sarebbe stato perfetto godersela, ma in modalità “mute”. Perché, nonostante il racconto corrisponda alla realtà, si è assistito alla formulazione di numerose “domande”, senza però fornire alcuna “risposta”.

Va da sé che la risposta a tanti quesiti debba trovarsi nel pensiero e nelle riflessioni dell’osservatore; va bene “auto-crearsi” un punto di vista; ma il racconto è incompleto. Lungi da me sostenere o pensare che in ciò ci sia stata una “scelta mirata”. Sto solo affermando, e lo dico con orgoglio, che una buona fetta della città sia stata tralasciata, che l’immagine di Augusta si venuta fuori “ristretta”, come mutilata, addentrata e quasi rassegnata in una spirale di mediocrità, dalla quale solo “i cervelli” sono riusciti ad emergere, andando via.

Ma riprendiamo l’elenco. Siamo un’isola senza mare, è vero. Non c’è un teatro, il Kursaal sta crollando. Non c’è un cinema. Il castello federiciano crolla a pezzi. Così come troppe volte le speranze del cambiamento. Lo stadio è chiuso. L’hangar dirigibili è inagibile. La piscina comunale verrà demolita. L’ospedale piano piano sarà soppresso. Le saline sono putrescenti. Il mare è inquinato. Megara Hyblaea è in pessime condizioni. Turismo? Neanche a parlarne.

Però, perché non dire, magari, che chi “ha passato i ponti”, ha ormai perso il contatto con la realtà cittadina? Perché non si è parlato dell’imprenditoria giovanile, che muove, seppur lentamente, dei timidi passi in avanti? Perché non intervistare anche chi “è rimasto”, che crede nella propria città, investendo in attività lavorative? O chi, invece, crede nelle potenzialità culturali della propria terra, e affina l’ingegno per andare avanti? Perché non parlare della miriade di associazioni culturali attive sul territorio, che tentano, con tante difficoltà, di sopperire allo strabismo politico in materia di beni culturali, ai “problemi”, alle sterili lagne e alle carenze amministrative? Oppure perché non parlare della ricerca scientifica che, anche se con difficoltà, da più di cinquant’anni coinvolge Megara Hyblaea nello scenario europeo?

Una cosa, ancora, non è stata sottolineata nel servizio: Augusta è una città senza Museo civico (mentre Museo della Piazzaforte e Commissione comunale di storia patria sono andati avanti grazie alla meritoria opera di volontari), l’istituzione culturale per eccellenza; fulcro identitario per antonomasia, il “faro” sulle ombre dell’oblio, il legame di identità e territorio. A dire il vero, il museo esiste; ma solo sulla carta: c’è un direttore e un consiglio; non la sede, né le collezioni. Un progetto in itinere che dagli anni ’70 non vede la luce.

È il Museo civico il primo pilone del “ponte verso la rinascita”. La sintesi perfetta che raccolga le testimonianze della storia della città e il rapporto con il territorio, e che crei conoscenza e consapevolezza tra i cittadini.

Ritornano i proverbiali versi di Montale, “Codesto solo oggi possiamo dirti, | ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Così, lapidario, si esprimeva il poeta. Iniziamo scegliendo ciò che non siamo allora. Non siamo Levantini, ma neanche Greci. Scegliamo anche cosa vogliamo essere: siamo “Augustani”, scegliamo di rivendicare con orgoglio la nostra identità. Non bisogna essere “pazzi” per amare la propria città. Occorre coscienza e consapevolezza. Ci vogliono “cento occhi”, come quelli del pavone, come quelli di Giunone, per poter guardare.


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