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Il “Trionfo della morte”: lume sempre acceso

Il Blog su beni culturali e arte Il Corbaccio di Carlo Veca per La Gazzetta Augustana.it

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Tempo fa mi trovavo alla Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Tra i capolavori dell’arte presenti, uno in particolare mi ha impressionato, e da allora non riesco più a togliere dalla mente: il Trionfo della Morte. Questo è un affresco “strappato” di 6 x 6,5 m proveniente dal cortile di Palazzo Sclafani a Palermo, di autore Ignoto. Il tema iconografico è molto diffuso nell’arte pittorica del tardo Medioevo, legato prima al Giudizio Universale e poi alla Peste Nera della metà del ‘300.

Senza voler entrare in tecnicismi iconografici o iconologici, che lascio agli “addetti ai lavori”, mi piace però poter fare qualche ipotesi di lavoro da “osservatore attento” su quanto mi ha ispirato la complessa ed evocativa raffigurazione.

Prima di tutto la composizione. L’affresco a mio avviso è costruito su un doppio schema compositivo: il primo è di tipo “circolare”, che parte dai presunti ritratti degli autori, nel quadrante sinistro in basso e ruota in senso antiorario fino a “ritornare” alla coppia di segugi nel quadrante sinistro alto; l’altro suddivide, contrapponendole, parte alta e parte bassa, laddove a una natura lussureggiante e alla “spazialità” con poche figure (i cacciatori disinteressati, di cui quello col falco rivolge perfino le spalle allo Spettatore), fa da contraltare un ammasso di personaggi, quasi claustrofobico, nella parte bassa.

I due schemi delineati sono in un certo senso collegati: la Morte, focus della rappresentazione, irrompe al centro, raffigurata da uno scheletro con falce, arco e faretra su un cavallo scarnificato; Essa, al galoppo, sembra percorrere lo schema “circolare”, “giudicando” prima i personaggi dei quadranti bassi, per poi passare a quelli in alto, ancora ignari, ma come avvertiti dal ringhio del piccolo cane a sinistra della fontana.

La Morte non giudica in base al censo, infatti, partendo da sinistra, risparmia i meno abbienti e i santoni, mentre falcia prelati, aristocratici, imperatori papi e sultani (in primo piano). Man mano che avanza, uccide con un dardo o risparmia, lasciandosi alle spalle cadaveri, feriti o persone prostrate, in una quinta teatrale surreale.

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Trionfo della Morte. Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis

Ma alcuni personaggi rivolgono lo sguardo all’osservatore: a parte i già citati ritratti degli autori dell’opera nel quadrante sinistro basso (si è ipotizzato che possano essere il borgognone Guillaume Spicre e il giovane Antonello da Messina), in posizione speculare a questi stanno un suonatore di liuto e una donna. Il musico potrebbe simboleggiare (cosi come la pittura) che l’Arte si salva anche al cospetto della morte. Non a caso, l’altro suonatore in alto, poggia l’arpa sulla fontana, da molti interpretata come simbolo di Vita. La donna, invece, sembrerebbe far parte di un trittico di Grazie, con la gestualità del tenersi per mano assieme alle altre due.

Questa breve descrizione delle impressioni e dei sentimenti di fronte allo straordinario affresco, mi ha dato spunto a ulteriori riflessioni e valutazioni in chiave moderna. La Morte a cavallo non è più la peste né il Giudizio, ma l’Uomo attuale: egli, nonostante sia innamorato del Bello, è ritratto nell’atto di “falciare il proprio passato”, risparmiandolo solo a sprazzi; lo fa morire, perché “far morire è una sorta di prassi”. Ma nonostante ciò, Arte, Musica, Poesia e Bellezza resistono, anzi ne sono incolumi, reticenti a qualsiasi violenza, e quasi come se volessero dimostrarlo agli spettatori moderni rivolgendo loro lo sguardo come monito.


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