La corrispondenza – Tornatore di nuovo al cinema ma l’Oscar resta nel cassetto
Il titolo sembrerà pretestuoso e forse anche un po’ eccessivo ma La corrispondenza di Giuseppe Tornatore delude le aspettative, intessendo una trama che sembra non decollare mai del tutto: proprio nel momento in cui lo spettatore sembra lentamente intrappolato tra le maglie del plot, la morsa della suspense cede e la “giostra cinematografica” smette di funzionare. Sarà che ci si aspetta troppo dalle sapienti mani del maestro che ha confezionato Nuovo cinema paradiso, La leggenda del pianista sull’oceano e La migliore offerta, ma La corrispondenza non regge il livello a cui Tornatore ci ha abituato, apparendo quasi come “un film minore”.
È un film sull’amore inteso come forza cosmica capace di superare ogni ostacolo, persino il più invalicabile: la morte. Non mi trovo d’accordo con l’opinione secondo la quale il tema del film sia la storia di un amore a distanza, poiché la distanza prevede una riconciliazione, qui, invece, la distanza viene annullata o nel suo estremo opposto portata alla somma massima: la morte. La morte non prevede alcuna riconciliazione, nessun ritorno che si concretizzi fisicamente (salvo in una visione religiosa-cristologica). Non è, pertanto, la storia di un amore a distanza (argomento trattato solo nei primi minuti del film), quanto piuttosto l’amore come sentimento immortale. Questo concetto è enfatizzato, tra l’altro, attraverso un parallelismo con l’universo esplicitato anche dal titolo della tesi della protagonista Amy: “Dalle stelle visitatrici alle ipernove, dialogo con le stelle morte”.
Amy è una studentessa di astrofisica che intrattiene una relazione con un professore più grande di lei che insegna e vive ad Edimburgo. Il loro amore è vissuto a distanza ma soprattutto in segreto ma questo sembra non scoraggiare i due che dopo sei anni si amano come fossero degli adolescenti aspettando il momento di potersi rivedere (antefatto del film). A una conferenza, però, Amy scopre che il suo amato professore è morto, infittendo, così, un mistero di presenza/assenza dato dal continuo giungere di mail e lettere da parte sua. Amy è una ragazza fuori corso avvolta dal senso di colpa per la morte del padre. Proprio per questo fa la stunt per il cinema, per punirsi di quella colpa, portando la sua vita sempre sull’orlo del precipizio. È come se la protagonista morisse e resuscitasse ad ogni prestazione estrema, evidenziando una sorta di catarsi che di fatto non porta ad alcuna liberazione. Amy ha bisogno di toccare con mano sistematicamente la morte come se questa fosse l’unica cosa a farla sentire viva.
Di contro, il suo amato professore Ed fa di tutto per non toccarla mai quella morte: si ingegna per diventare “una particella immortale” e grazie alla tecnologia rimanere al fianco della sua amata. Ed sorprende Amy inviandole lettere, mail, messaggi, fiori, pacchetti; il tutto con tempistiche perfette e studiate, tanto da fargli valere il nomignolo di stregone. La morte di Ed avviene quasi subito, da quel momento la storia rimane nella mani di Amy e nella sua ricerca della verità attraverso i luoghi a lui familiari. Lungo questo girovagare permea la sensazione che l’amore sia una forza che si crea ma non si distrugge, anche attraverso presenze apparentemente insensate, come il cane che si avvicina stranamente ad Amy, un’aquila che affianca il finestrino dell’autobus, una foglia che rimane a vibrare sul vetro della porta. Elementi che fanno trasparire una sorta di forza cosmica trascendentale ma che concretamente non risultano un esperimento del tutto riuscito.
Tornatore ci tiene a sottolineare che il suo film è la rappresentazione dell’amore ai tempi dei social network e delle nuove tecnologie in cui cambia il registro dei modi di essere e dei modi di vivere l’amore stesso. È una storia che aveva in mente da molto tempo ma che non aveva mai potuto girare in quanto sarebbe risultata fantascientifica; oggi, invece, i tempi la fanno apparire del tutto normale. La corrispondenza mette in scena il nuovo modo di comunicare, “la modernità” dei sentimenti e il bisogno di imprimere le proprie parole e le proprie emozioni su un supporto tecnico in modo da renderle immortali.
La regia è sapientemente condotta, le immagini spesso pittoriche a indugiare sul lago, i riflessi, le nuvole, sottolineano il gusto raffinato e il “magico tocco” che contraddistingue Tornatore. Di contro, però, la storia rimane quasi insapore annaspando nella sua stessa trama. La sceneggiatura risulta spesso tirata, soprattutto nel corpo centrale quando lo spettatore si aspetterebbe un “colpo di scena” o un cambio di virata che di fatto non arriva mai. La morte di Ed, mentre vediamo l’assiduo arrivo di sue mail sul cellulare di Amy, appare senza ombra di dubbio un punto di svolta chiave, ma avviane all’inizio del film e da allora ci troviamo in mezzo ad una suspense che non prende mai forma; al contrario, c’è sempre una esibizione dei fatti che non permette un reale coinvolgimento emotivo.
Sappiamo sin da subito che Ed è morto, ci viene anche confermato dal notaio, sappiamo che i messaggi sono inviati ad Amy attraverso una rete di persone che Ed aveva previsto, sappiamo che lui era malato e che ha passato gli ultimi mesi della sua vita a creare tutto questo per la sua amata. Dovremmo allora concentrare la nostra attenzione sui sentimenti, dimenticare “il giro sulla giostra cinematografica” ed empatizzare solo con l’amore tra i protagonisti. Anche qui, però, sembra mancare qualcosa: rimaniamo in superficie senza essere parte integrante di una emozione reale. Durante tutto il film rimaniamo sospesi come se ci si aspettasse debba succedere qualcosa, ma alla fine ci si trova solo di fronte a un gioco a carte scoperte di cui rimaniamo puri spettatori e non complici.
Il parallelismo tra vita/cosmo, amore/stelle risulta interessante, salvo poi collassare nel semplicistico. I personaggi da un lato indugiano troppo sulle lacrime e il sentimentalismo, dall’altro hanno dei cambi troppo repentini (la figlia di Ed passa dall’odio profondo nei confronti di Amy ad una riconciliazione che stride con quanto possiamo ritenere credibile). Inoltre l’eccessiva ridondanza di luoghi, parole e immagini sottolineano “il già detto” con il risultato non di enfatizzarlo, bensì svuotarlo. Quando forse lo spettatore è eccessivamente viziato dalla mano di registi che si muovo dentro l’arte come fosse loro habitat naturale, non si arrende di fronte ad una pellicola che non centra l’obiettivo. Tornatore, fuor da ogni dubbio, è uno dei registi in grado di fare quel cinema che ancora il mondo ci invidia, ma il maestro con La corrispondenza non ci acceca con i dorati riflessi della statuetta più ambita.