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Visita a Palazzo Omodei per la nuova tappa del progetto di alternanza scuola-lavoro del “Ruiz”

AUGUSTA – Prosegue con nuove ed esaltanti scoperte il progetto di alternanza scuola-lavoro promosso dall’Istituto di istruzione superiore “Arangio Ruiz” e che vede coinvolti quattordici alunni delle classi terze e quarte, grazie ad una iniziativa che permette loro di conoscere siti di interesse storico-artistico della città e del territorio. “Un progetto di studio, conoscenza e approfondimento storico per far acquisire specifiche competenze“, ha sottolineato il docente Paolo Trigilio, tutor scolastico per il progetto.

Sabato scorso, grazie alla sensibilità delle attuali proprietarie ed eredi Elvira, Rita e Marilene Migneco, i ragazzi hanno potuto accedere e visitare il settecentesco palazzo nobiliare della famiglia Omodei dei baroni di Vallelunga, ubicato nella centralissima via Roma. Guidati dal tutor aziendale Giuseppe Carrabino, gli studenti hanno appreso lo storia dell’edificio, che nella sua configurazione originaria si estendeva per un lungo tratto anche su via Principe Umberto.

Come spiegato dal tutor aziendale Giuseppe Carrabino, pur in assenza di documentazione archivistica è presumibile che l’edificio sia stato acquisito o edificato nel corso del Cinquecento. Nel 1518 Antonio Omodei, barone di Vallelunga e senatore di Palermo, fu destinato ad Augusta quale governatore della Real Piazza con il grado di capitano d’armi e di guerra, da lui ebbe origine il ramo Omodei di Augusta. Se della sua edificazione non si hanno riferimento archivistici, è documentata invece la ricostruzione dopo il sisma del 9 e 11 gennaio 1693.

Quindi Carrabino ha rappresentato lo stato dell’arte della ricerca sulla storia dell’edificio: “Le fonti orali, tramandate nell’ambito della famiglia Omodei, asseriscono che l’edificio fu uno dei pochi palazzi che rimasero indenni dalla violenza del sisma, tuttavia diversi atti notarili custoditi presso l’Archivio di Stato di Siracusa smentiscono tali fonti, anche se le strutture del piano terra, con le volte a crociere, potrebbero confermare parzialmente tale ipotesi“.

Ha aggiunto: “I documenti custoditi nel “Fondo Notai” dell’Archivio di Stato di Siracusa e, in particolare, da una valutazione del sito del capo mastro della città Antonino Greco è stato possibile rilevare che nel 1694 fu necessaria la demolizione dell’edificio, atteso che le poche mura rimaste in piedi minacciavano rovina. La ricostruzione, come si rileva dagli atti del notaio G. Francesco Avolio, ebbe inizio nell’ottobre 1694 e avvenne sul modello del palazzo preesistente che presentava sette ambienti nel piano inferiore con tre magazzini, un ingresso, due studi ed un riporto, e sette stanze nel piano superiore con quattro camere, una sala con galleria ed una cucina“.

Infine, venendo allo scorso secolo: “L’edificio è stato danneggiato durante il secondo conflitto mondiale, con il parziale crollo del tetto del salone e la distruzione dello stemma del portale. Ulteriori danni sono stati registrati in occasione del sisma del 1990, che hanno determinato un significativo intervento di consolidamento e restauro con la restituzione e la parziale leggibilità originaria“.

Carrabino si è quindi soffermato ad illustrare lo stemma araldico della famiglia: un leone rampante, simbolo del dominio e della nobiltà eroica, unitamente alle stelle che lo sovrastano che rammentano i personaggi illustri nelle armi, nelle lettere, nelle azioni magnanime che hanno sempre caratterizzato i membri di questo nobile casato che ha dato lustro alla città in campo sociale, culturale, economico, politico ed ecclesiale.

Particolarmente interessanti i contributi offerti dalle attuali proprietarie, che hanno descritto storia e aneddoti su alcuni personaggi di rilievo secondo i racconti tramandati in ambito familiare. Dal mito di “Lighea”, che vedrebbe protagonista una loro zia, alle romantiche modalità relative alla costruzione della casina di villeggiatura in località Pietrerosse, edificata da uno degli antenati quale dono alla sposa rimasta incantata del posto durante una passeggiata in carrozza.

(Foto: Alberto Di Grande)


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